Proteste, normative, alluvioni e periodi di siccità: in un momento storico e sociale in cui le pressioni sul mondo agricolo sono in costante crescita, la necessità di fare chiarezza sulle esigenze reali e i mezzi a disposizione si fa sempre più urgente. Come si può soddisfare la richiesta di cibo e, nello stesso tempo, preservare l’ambiente e la biodiversità? È possibile fornire prodotti a prezzi accessibili senza andare a impoverire gli agricoltori? Quali sono le tecnologie a disposizione? Per approfondire l’argomento, di seguito l’intervista a Luca Remmert, imprenditore agricolo, realizzata in esclusiva per il sito di Coltivato dal giornalista Luca Fiocchetti.
Al settore agricolo si chiede di soddisfare la crescente richiesta di cibo con regole sempre nuove, molto più stringenti, dettate dalla sostenibilità. Come si risolve il problema?
La sfida alla quale noi dobbiamo dare delle soluzioni, dopo averne finalmente preso atto, è quella del cambiamento climatico. Si parla di cosa succederà tra trenta o cinquant’anni, ma noi, che usiamo la terra e la meteorologia come fattori di produzione, viviamo sulla nostra pelle come questi si siano già modificati, e in modo sostanziale. Bisogna ragionare su quali elementi correttivi mettere in campo tra quelli che sono nell’enorme basket dell’innovazione e che devono essere di supporto all’agricoltore quando deve prendere decisioni. La gran mole di dati pedoclimatici disponibili permette di pianificare una serie di interventi che saranno più sostenibili come, ad esempio, l’uso mirato di fitofarmaci e insetticidi. Anche sulla questione della siccità ci sono pratiche agronomiche che possono aiutare così come la scelta di determinate cultivar. Semplicemente, se vogliamo continuare a fare questo mestiere dobbiamo adeguarci ai cambiamenti dei nostri fattori di produzione.
Questi dati e queste tecnologie, magari non subito ma in un futuro prossimo, saranno disponibili anche per i piccoli agricoltori, che in Italia sono la maggioranza?
Qui purtroppo entra il grande tema del fallimento della cooperazione in Italia dovuta all’individualismo e al campanilismo. Un atteggiamento che non ha senso, dal momento che la dimensione media di un’azienda agricola è sotto i cinque ettari e consociarsi con i vicini dovrebbe essere la normalità. Questa cooperazione, che ritroviamo in Paesi vicini come la Francia dove il settore agricolo è molto aggregato, da noi purtroppo non c’è. Gli agricoltori sono i primi guardiani del territorio mentre spesso finiscono nella lista dei colpevoli per l’utilizzo dell’acqua o dei fitofarmaci o del consumo di suolo. E anche questa demonizzazione deriva dalla mancanza di rappresentanza di un settore troppo capillarizzato che non si organizza e quindi non riesce a far sentire la propria voce.
La seconda edizione di Coltivato si avvicina, qual è il contributo che questo Festival può dare al complesso sistema agricolo e quindi alla nostra alimentazione?
In passato ci siamo sempre parlati solo tra noi e la ragione per la quale nasce il Festival è proprio quello di riuscire a parlare a chi non fa il nostro mestiere. L’obiettivo di Coltivato è quello di informare su quanto questo settore influisca sull’economia e sulla quotidianità di ognuno di noi, perché il mondo è impregnato di agricoltura. È vero che il mondo dell’agricoltura non ha saputo raccontarsi, perché non ha mai toccato le corde dei temi ambientali, quelli che colpiscono di più le nuove generazioni che hanno una coscienza ecologica più sviluppata. E Coltivato è un’occasione per noi agricoltori di mostrare realtà e potenzialità del settore, quello che fa e quello che potrebbe fare. E il nostro mestiere è quello di fare cose bellissime, perché lavoriamo con la terra.