Ma chi sei, da dove vieni?
Io vengo dal Sud America. Appartengo alla famiglia delle solanacee, una tra le più prestigiose nel mondo della botanica, e sono particolarmente vicino al solanum tuberosum, l’unica specie non cereale che ha avuto il privilegio di contribuire alla nascita dell’agricoltura. La mia presenza in Sud America è passata inosservata per millenni: agli occhi dei più, sono stato a lungo il parente povero di tutte quelle specie che, a differenza mia, parevano meritare di essere esaltate – prime fra tutte la patata, che ha contribuito allo sviluppo delle popolazioni andine, e il tabacco, che era una specie chiaramente molto più amata del pomodoro. Insomma, di fatto io ero la Cenerentola, la parente poverissima. In effetti non so perché il Generale Cortés a un certo punto mi abbia portato in Europa; è una cosa che mi sono chiesto spesso senza mai riuscire a darmi una spiegazione. All’epoca, di fatto, ero poco più che una novità botanica e ad apprezzarmi erano soprattutto – per non dire esclusivamente – i botanici e i naturalisti del tempo.
Ad ogni modo, alla fine in Europa ci sei arrivato…
Per tutte le specie che venivano dall’America il percorso era lo stesso: la prima tappa era Siviglia, in Spagna, e da lì partiva la distribuzione per tutto il Continente. Il problema era che tutte le altre specie erano immediatamente utilizzabili, mentre io passavo per quella che doveva ancora essere studiata ed ero relegato negli orti botanici europei – i primi che hanno cercato di capire che cosa fossi. Insomma, a partire dal mio arrivo in Europa – verso la metà del ‘500 – e per un paio di centinaia di anni a seguire, ho vissuto tranquillo negli orti botanici, coccolati dai ricercatori del tempo che mi guardavano come una novità e provavano a capire se fossi buono a qualcosa. Pensa che qualcuno sospettava persino che fossi una specie velenosa, per via degli alcaloidi che, come tutte le solanacee, producevo e di qualche pelo urticario che usavo per difendermi.
C’è stato, come in tutte le storie, un punto di svolta? Voglio dire: è successo che a un certo punto qualcuno si è accorto del tuo valore alimentare oppure si è trattato di un processo più lungo?
Non dimentichiamo che la fama che mi precedeva era delle peggiori, per cui anche Mattioli, un grande studioso e il primo a descrivermi nel 1545, di me aveva parlato come di una specie interessante ma priva di qualunque giovamento nutrizionale – in sostanza, aveva posto su di me un segno netto di bocciatura. Nonostante i pareri di Mattioli e Durante, i primi studiosi ad accogliermi in Italia, il vero colpo di fortuna per me è stato che, quando ho raggiunto la penisola mi hanno cambiato il nome. Da un generico tomate, che non significava niente per le persone, a un altisonante pomidoro – poi pomodoro. E il fatto stesso di essere paragonato a qualcosa di prezioso come l’oro bastava a darmi finalmente un po’ di dignità e, soprattutto, a farmi sentire di valere un po’ di più di quello che ero stato fino a quel momento. La considerazione che in Italia – e soprattutto alla Corte dei Medici di Firenze – hanno di me cambia e io non fatico certo a stare al passo col cambiamento. È perché sono un immigrato, e avendo sofferto tantissimo di tutte le vicissitudini che tutti gli immigrati soffrono ho imparato ad adeguarmi al sistema e cercare di dare il mio contributo. In Italia, per esempio, mi sono immediatamente adattato alle condizioni pedoclimatiche di tutta la penisola: dal Nord fino al Sud, Isole comprese, ho trovato il modo di fare la mia parte e questo è stato molto apprezzato sia dalla popolazione – che si interessava a me come specie da utilizzare per prodotti da mangiare – sia da chi continuava a considerarmi una novità e non smetteva di studiarmi. In fin dei conti, direi che è stato piuttosto semplice: la variabilità di colore e forma delle mie bacche e dei miei frutti era di per sé un fatto così bello da permettere alla gente di amarmi immediatamente e io, sentendomi così bene accolto su questo territorio, non ho potuto che mettermi a completa disposizione delle persone che mi circondavano.
Testo tratto dall’intervista impossibile al Pomodoro, che si è svolta al festival Coltivato 2023, a cura di Antonio Pascale; grazie al professore Luigi Frusciante, Professore Emerito di genetica agraria all’Università di Napoli, che ha dato voce al pomodoro. L’intervista è stata pubblicata su Agrifoglio.